mercoledì 2 novembre 2011

LA MARMELLATA

Io la tv non ce l'ho. Io non ho il tempo di guardarla. Io guardo un paio di tiggì e due tre programmi in croce. Intanto, la cosiddetta tv massimalista, generica, d'intrattenimento crea a diffonde la cultura, se così si può definire, del mostro. Troppo facile mettere la testa sotto la sabbia. Troppo facile risolvere con not in my back yard, con un'alzata di spalle, brandendo la scusa del pluralismo, del relativismo, della libertà e del libero arbitrio. Quello snobismo con cui qualche anno fa si poteva ridere di secchioni in go-kart arrapati per delle troiette discinte in baby doll di struzzo deve finire. Ignari di quello che accade attorno, si fa facilmente leva su quel relativismo di prima e si banalizza il tutto circoscrivendolo soltanto come entertainment. Chi vive nella propria torre d'avorio della tv accesa per poche mezzore, o addirittura spenta, non conosce davvero il suo nemico, non può rendersi conto di quanto possano aver fatto male anni di quel relativismo e quella compiaciuta libertà di espressione che ora assomiglia sempre di più a Non hanno più pane? Dategli delle brioches. La strada aperta più di dieci anni fa dai primi reality, dai primi vip dalla strada, ha creato mostri. Come?

Punto primo, non è rimasto un programma isolato, un Grande Fratello, ma a ruota si è deformato interamente un palinsesto televisivo. Reality coi concorrenti non famosi, con quelli già famosi, con quelli diventati famosi con altri reality, coi figli dei famosi, con i famosi e i non famosi assieme; e poi i corteggiati e i corteggiatori, i cantanti (i nani) e i ballerini. E poi interi programmi e talk-show completamente piegati sull'analisi di questo piuttosto che l'altro comportamento pruriginoso, della storia strappalacrime di quella concorrente, di quelle che se le sono date di santa ragione, della storia d'amore nata sotto una delle tante telecamere.

Punto secondo, l'abitudine crea noia. Dunque, se dieci anni fa bastava mettere dieci perfetti sconosciuti sotto i riflettori e la curiosità spingeva a dare almeno un'occhiata, ora l'asticella necessariamente si alza. Decine di sceneggiatori in conclave cercano di carpire il giusto mix per generare interesse in un pubblico sempre più anestetizzato. Non basta più la normalità, serve sempre di più la finta trasgressione, l'impossibile reso possibile che spesso sfocia in una banalità che non strappa manco un sorriso. Tipo il ragazzo con lineamenti indiani che entra vestito da nobile indiano ma che è invece un contadino bergamasco un po' bigotto e non parla manco l'italiano se non bergamaschizzandolo a sua volta.

Punto terzo, se si deforma un palinsesto e ci si abitua a questa deformazione, la deformazione diventa la realtà. Se il reality si trasforma in realtà, ecco che stuoli di giovinetti ritengono utile pompare il proprio bicipite per diventare famosi e altrettante ragazzette atteggiarsi da finte vip per fare altrettanto. Cos'hanno di diverso dalla gente questi nuovi vip? Nulla, soltanto la notorietà e la palanca in tasca. Anche se, spesso, entrambe durano poco, sono comunque sufficienti per diventare modello di quei giovinetti di prima.

Punto quarto, la dimensione della spettacolarità televisiva si inserisce a sua volta in un contesto più generale che la amplifica e la rafforza. Se la tv e le sue decine di programmi nazional-popolari, o meglio spazzatura, si inserissero in una realtà ben strutturata e diversa, essa rimarrebbe finzione, spettacolo. Ciò che è accaduto negli ultimi anni, invece, è l'esatto contrario. Una buona parte della classe dirigente di questo Paese ha alimentato e amplificato la fiction televisiva in una continua e sempre più densa osmosi. Personaggi dello spettacolo da quattro lire fotografati alla corte del Capo, il culto della bellezza e dell'esteriorità anche in un ambiente in cui dovrebbero essere i valori e le idee a fare la differenza, la mancanza totale di meritocrazia e di rispetto delle regole democratiche di rappresentanza nello scegliere le personalità deputate a ricoprire incarichi politici e dirigenziali (nonostante, quasi per assurdo, spesso si brandisca il volere del popolo, proprio come in un reality).

Questa marmellata che rende tutto uguale, tutto pari e patta, amplifica e rende quasi irrimediabili i danni che gli ultimi dodici anni di televisione hanno creato nella nostra società.

Per questi motivi non c'è nessun relativismo, nessuna libertà di espressione che possano giustificare questa melma. Non c'è nessun relativismo utile a giustificare che una concorrente del Grande Fratello 12 (!), che si vanta di essere quella acculturata del gruppo, quella intellettualoide e pure un po' snob, se ne vada in giro a dire che Socrate non è mai esistito, che Platone e Socrate sono la stessa persona, o che Platone e Aristotele usassero lo pseudonimo di Socrate per parlare tra loro. Non c'è nessuna libertà di espressione se nessuno, nessuno dei venti concorrenti la contraddice. Oddio, qualcuno ridacchia, ma nessuno sembra essere certo che quella è una palese assurdità. Non c'è nessuna spalluccia che poi renda passabile che questa concorrente sia stata (fatalità) anche una, diciamo così, fiamma del direttore del telegiornale di Rai Uno, Augusto Minzolini. Non c'è nessuna giustificazione per questa ennesima marmellata tra finzione e giornalismo. Non c'è nessuna spalluccia che banalizzi l'ennesima osmosi tra reality e politica, incarnata nel concorrente che guarda caso risulta essere l'ex della Consigliera Regionale Nicole Minetti.

Provo molto disgusto per questa marmellata. Provo fastidio e intolleranza nei confronti di questo miraggio di successo in cui non vi si intravede nessun valore, nessun merito, nessun sacrificio. Un successo effimero e veloce che poi riporta tutti all'anonimato, ma che pare essere comunque sufficiente per deformare la lente attraverso cui milioni di persone vedono la realtà che li circonda, che colpisce ancora di più i giovani e i ragazzi che proprio in questi anni stanno mettendo le loro basi per costruire il loro futuro e per essere a loro volta il futuro di questo Paese. Una costruzione che grazie a questo processo quasi sempre non deve costare fatica e non passa per la formazione e per l'istruzione. Quest'ultima ormai è sempre più relegata ai margini, non soltanto dall'opinione pubblica, dai genitori e dai loro figli, ma anche dalle scelte politiche che negli anni l'hanno colpita e indebolita, privandola di qualsiasi autorità e di qualsiasi valore, minata fortemente nella sua forza di tornire menti valide e consapevoli. Provo pena per una moltitudine sempre più ampia di persone che giudica le persone perché sono vere, perché sono fatte così e hanno il coraggio di non cambiare, perché sono matte, perché sono orgogliose di essere ignoranti ma semplici. Se reality significa realtà, seppur artefatta, è disgustoso che da più di dieci anni si metta in mostra una realtà così tanto bassa, gretta, priva di qualsiasi spunto o nota positiva, salvo Luca Argentero.

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