giovedì 14 luglio 2011

UN ROMANTICO A MILANO

Non c'era niente da dire e nessuno con cui dire qualcosa. Poteva capitare di perdersi, quello sì, seguendo le vecchie insegne della biglietteria incise sul marmo di Milano Centrale.
Era un primo pomeriggio d'estate. Non c'era ombra, una volta fuori si veniva investiti dal caldo e dalla luce come chiamati dal volere divino. Cercavo di darmi quell'aria annoiata e veloce di chi è sempre lì ed è stanco di esserlo.
Opto per il sottopassaggio che taglia Piazza Duca d'Aosta. Krasic è a casa. Due tipi sui trentacinque si lamentano del caldo mentre rollano una canna prima di ritornare di sopra a trapanare. Il bar è semi deserto, l'inserviente passa stancamente un panno umido sul bancone. Due colleghi si scambiano un veloce cenno di saluto. Ritorno in superficie. Locali alla moda con divani nel dehors servono caffè ed insalatone su tavolini bassi, in vimini plastificato o in giardini artificiali con separé di plexiglass. Due poltrone con i colori del Milan occupano stentoree l'entrata di un famoso ristorante. All'interno, nella penombra, un uomo in sovrappeso risente evidentemente del caldo. Ha tolto la cravatta e sfoggia una posa sbracata, la camicia sbottonata fino a metà. Più avanti, davanti all'androne di un palazzo dirigenziale, una donna ossigenata sulla cinquantina con dei pinocchietti aderenti bianchi morde una frittella fritta da un sacchetto di carta. Dalle dimensioni farà il bis.
Rincorro l'ombra finché è possibile. Supero quattro amiche che hanno l'aria di essere insegnanti dopo un esame, forse il loro primo pomeriggio di vacanza estiva. L'ombra svanisce, il sole è a picco. Cammino in una strada a doppia corsia, larga, trafficata, piena di luce. Mi fermo ad un semaforo e l'asfalto inizia a bruciare da sotto i sandali. A fianco a me, una famiglia che sembra essere in gita. Forse nel pomeriggio si laurea il figlio maggiore o magari stanno accompagnando la figlia in stivaletti e shorts a scegliere l'università migliore.
In un'auto bloccata nel traffico, una ragazza con un gioco di frizione procede piano, intanto con una pinzetta strappa qualche pelo dalle sopracciglia.
Controllo i civici. Individuo il portone. Sono incredibilmente in anticipo, dunque cerco un bar nelle vicinanze. Nel Bar Campiello nonostante il caldo c'è spensieratezza. Il giorno dopo chiuderà per due mesi per una ristrutturazione interna. E degli affetti. Cerco il bagno, aggiusto veloce il trucco, tento di cancellare questi due chilometri a piedi. Nell'armadio delle scope rimedio un po' di sapone. Pago e il cameriere mi saluta aggiungendo un commento sulla mia camicia arancione, ma sono già fuori.
Il palazzo ha un'entrata alta e signorile, un portiere filippino all'ingresso. Mi guardo intorno per cercare qualche insegna familiare. Non faccio nemmeno a tempo a voltarmi verso il bureau che il portiere già sorride e mi indica il primo semipiano a destra.
Ho chiaro che la sopravvivenza ha bisogno di armi più affilate di un interregionale senza aria condizionata. Salgo.

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