lunedì 22 marzo 2010

NON SI NASCE VIVI NEGLI ANNI '80

Ci sono volte che bisognerebbe fare come nella Fiera dell’Est. Per ricordarsi le cose mettere tutto in fila, ripetendo sempre tutto, così almeno rimane bello chiaro.
Invece non si fa così, perlomeno non sempre. E quindi capita che certe cose te le ricordi all’improvviso, mentre ascolti una conversazione altrui sul bus, leggendo un giornale o guardando distrattamente qualsiasi cosa.
Adesso io dirò una cosa che, lo so, farà pensare maròperòquestasembramianonnafasemprelestessecose. Facciamo allora che sorseggiare un thè sul divano sfogliando D di Repubblica è diventata una piccola abitudine del post pranzo. Capita spesso, ma ho l’accortezza di variare il tipo di thè e la rivista, che non è sempre D di Repubblica. Poi lo so anche io, è un periodo che le mie giornate tendono parecchio ad assomigliarsi tra loro e ne soffro un sacco, per cui a breve scoccerò tutti i miei più vicini -e quindi più sfigati- conniventi del progetto vivere con la mia voglia di evasione e che così non si può andare avanti.
Insomma, un po’ di tempo fa ho fatto pure la critica letteraria in un programma radiofonico e lo avevo un po’ scordato. Tipo che consigliavo ogni settimana un libro da leggere. Niente di esagerato eh, gestivo temporaneamente con la mia cialtroneria il Frito Rebelde aggiungendoci il momento anarchico di Tre friti un libro.
Da questo si può dedurre che mi piace leggere. Da questo si può dedurre che i miei progetti e programmi di vita non durano un gran che. Da questo si può dedurre che ho una memoria che si attiva come quelle vetrine che di notte si illuminano solo quando qualcuno ci passa vicino. Meno Co2. Insomma, per questo leggo spesso i consigli letterari delle riviste o dei quotidiani per vedere un po’ cosa sta succedendo nelle librerie.
Dunque, dicevamo, io ero sul divano col thè e D di Repubblica e mi piace leggere. Per questo stavo leggendo le varie recensioni dei vari libri usciti nell’ultimo periodo. (alla fine serve la regola della Fiera dell’Est). Leggevo una delle tante recensioni che parlava di uno dei tanti romanzi opera prima. Una delle tante opere prime classificate sotto la categoria romanzi di formazione. Bildungsroman, come avevo imparato al liceo. Tema: gli adolescenti, i problemi dell’amore, il non sentirsi adatti alla vita.
Che tutto possa essere classificato sotto forma di moda ormai lo abbiamo capito. Che anche la letteratura sia modaiola ormai lo si sa. La solitudine dei numeri primi vince lo Strega nel 2008 proprio tirando su e giù questi fili. Sarà che Giordano è un bello guaglione, che è laureato in fisica e fa il dottorato in fisica delle particelle, quindi non è uno dei tanti sfigati che fanno Lettere e Filosofia. Poi dietro c’è Mondadori e il successo è servito.
Più o meno riusciti, più o meno originali, ormai ci diamo di romanzi di formazione. Adesso i già definiti casi letterari sembrano essere Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D’Avenia, ca va sans dire, Mondadori, e Acciaio di Silvia Avallone, Rizzoli. A prescindere dalla moda che comunque si può cavalcare, credo che dietro la moda, nell’arte ci sia un filone, una corrente, un’urgenza sentita da molti autori in uno stesso momento che poi un po’ alla volta emerge. E quindi con la tazza di thè in mano ho iniziato a chiedermi perché il bildungsroman vada alla grande. Ne ho trovati due. Uno vale soprattutto per quegli scrittori più attempati. Attempati per modo di dire, quarantenni o poco più per capirci. Per loro vale l’idea del fanciullino, del ricordo un po’ malinconico di quando tutto era potenza e tutto era in fieri. Lo scrittore attempato si guarda allo specchio, magari scopre la pelata e la panzetta e si butta a scrivere, dato che è un’opera prima probabilmente prima faceva pure un lavoro noioso. Perfetto. In mezzo ci mettiamo Baricco con il suo Emmaus che non è un'opera prima, che c'ha pure parecchi capelli -Baricco, non l'opera prima- sembra abbastanza in forma e di mestiere ha sempre fatto, più o meno, lo scrittore. Quindi lo mettiamo negli inclassificabili. Il secondo perchè vale per gli scrittori più giovani, un po’ tutti quelli che ho citato prima, per capirsi. Per loro credo che valga un po’ il discorso più triste, forse perché in mezzo a questi, per età, ci sto pure io. Dei trentenni che non sanno bene dove stanno, che la società ha dimenticato e che continua continuamente a schiacciare tra la generazione reality e quella della sindrome di Peter Pan. Dagli USA, dove vanno matti per inventare delle definizioni per qualsiasi cosa, non ne pervengono. Sperduti pure loro. In compenso qui in Italia li si definisce bamboccioni, fannulloni, cazzari, giovani che vogliono tutto pronto, che non vogliono faticare, fare sacrifici, che amano le lasagne di mammà. Questo secondo gruppo sceglie il romanzo di formazione, e l’adolescenza, credo, perché è l’unica cosa definita della loro vita, l’unica che tutti definiscono come confusa e contorta e piena di paura. Lì, in quegli anni si è autorizzati a non sapere. E lì, visto che lì è lecito, si fanno vivere tutte quelle incertezze e quel caos che invece ci si continua a portar dietro. Che sennò se si continua ad essere così o si è bamboccioni o eterni Peter Pan. Ma i trentenni son viziati e vogliono il posto fisso. Come dice il sottosegretario all’attuazione del programma Santanchè, smettiamola di diffondere queste false illusioni. Dopotutto, la società va da una parte e chi tiene le redini di questo Paese alla nostra età saltava i fossati paer longo.

1 commento:

Unknown ha detto...

Per quanto concerne le definizioni relative alla "nostra" situazione, ti consiglio di lasciar perdere gli Ammericani e prendere in considerazione i Giappi, la loro è la patria primigenia dello straniamento da inutilità sociale. "Freeters" o, meglio (peggio) ancora, "Parasite singles" credo possano calzare

http://en.wikipedia.org/wiki/Freeters

http://en.wikipedia.org/wiki/Parasite_singles