mercoledì 21 aprile 2010

DISSOLVENZA

Tacitamente, ogni giorno, si mette una ics sopra a tutto quello che non si fa. E ogni giorno ci rendiamo conto che costa sempre meno fatica, che ci si allontana dalla riva e la scia e la schiuma poco a poco si diradano, si perdono, e non sappiamo più da dove siamo partiti.
Quello che vorrei e quello che sarei si perde davanti al tetto di quella casa che sembra un cremino fiat, davanti a questi palazzi che una volta erano bianchi ma che ora sono scacchi grigi. È il tempo che fa risaltare nettamente i muri portanti, che rilasciano umidità e fanno ammuffire l'intonaco. E ogni volta mi chiedo perché i palazzi, anche quelli più nuovi e residenziali, li costruiscano così brutti, così freddi, e quanto poco ci vorrebbe a renderli più accoglienti, che tanto sono tristi pure quelli più ambiti, quelli che dove una casa costa duemilacinquecento euro al metro quadro.
Uscire di casa e tirare dentro le spalle che ti aspetti di aver freddo, ma fuori il vento è caldo. Spiazza, sconvolge gli equilibri. E piango se il tizio vicino a me solo, alto due metri, visibilmente emozionato in una composta sobrietà, nonostante i quarantanni del distacco canta confusaefelice come un disperato, senza preoccuparsi di quanto stia urlando, di intonare la voce, venisse come vuole. Deve essere perché io non mi sbilancio e non mi schiudo quasi mai, e se lo faccio e canto amorediplastica me ne rendo conto e inizio a piangere di nuovo.
Sciolgo una ventina di gocce di valium in poca acqua, che quel gusto di melassa all'amarena fa vomitare. Mi siedo sola, appoggiata al tavolo della cucina in un sole che sta perdendo luminosità ma che lascia la voglia di stare in giro senza orari. Aspetto l'effetto guardando nel vuoto, so che arriva e si tratta di poche decine di minuti. E fai come con i film horror, che nella scena clou ti metti le mani davanti agli occhi ma apri le dita per vederla lo stesso e poi a casa salendo le scale ci ripensi, perché non puoi non farlo, e corri veloce, che non si sa mai. Quando l'effetto arriva è così, lento e dirompente. Ripensi a tutto quello che prima ti faceva male, non ti lasciava un istante e ti strattonava verso l'angoscia. Ma non succede nulla. Galleggi nella tua bolla e guardi già dal precipizio e metti il piede su quella zolla che traballa che tanto sai che non puoi cadere, che sei dentro la bolla.
E guardo fuori ancora, seduta sulla sedia nella penombra, mentre i palazzi a scacchi biancogrigi sono ancora pieni di sole, abbagliano. E penso a quando, una volta, non so quanti episodi fa, ti scrivevo che quello che avevo ben chiaro in testa era una casa con le assi di parquet lunghe e un po' rovinate, le tende di lino bianche che, leggere, lasciano entrare la luce del tramonto e che piano si muovono nel vento della sera, e ti spiegavo dei vinili e del viale lievemente chiassoso sotto casa e tu pensavi all'autunno e ai corvi. Ma il posto era lo stesso.
Ripenso a tutto questo come si fa con i film horror, come si fa con il precipizio, confidando nella mia bolla liquida. Ripenso a tutto questo come quando ci si morde le labbra dopo l'anestesia del dentista, carne inerme che non reagisce e che non prova dolore. Ma le ferite, poi, saranno ben chiare.

1 commento:

enver ha detto...

ti metti le mani davanti agli occhi ma apri le dita per vederla lo stesso