venerdì 1 ottobre 2010

NELLA STANZA DEI BOTTONI

Ci sono delle cose da annotare. Ci sono delle cose da fermare come quando il bottone si sta per staccare e bisogna perdere quei dieci minuti per fissarlo, per assicurarlo dove deve stare. Ne vale la pena, può far comodo un bottone ben chiuso quando tira quel vento gelido d'autunno.

Ho ancora la tua conchiglia tra i miei capelli salati.

Ho visto un pallone attraversarci la strada e con la macchina abbiamo quasi dovuto frenare.

Ho letto le nostre parole sulla cartaforno.

Ha detto mia madre che parlavo come quando ero piccola e felice. Con gli occhi illuminati di come quando ero piccola e felice, quando la sorpresa era nascosta dentro le scatole da fiammiferi del mulino bianco.

Ho visto dei polacchi scendere dalla barca e improvvisare un tango sbilenco in fronte al porto.

Ho camminato ancora per le strade di Parigi e la bellezza mi aspettava ad ogni angolo. Era negli occhi del mendicante che teneva un cartello con su scritto je me drogue. Era nel rosso di sera dietro la tour eiffel. E nell'odore di piscio mentre cercavo di fare una foto da turista dal trocadéro.

Ho cercato di capire gli artisti contemporanei. Spiato cosa c'è dietro una gamba di cera d'api che spunta da una parete con dei peli veri attaccati e una candela che viene fuori dal femore che costa ottocentomila euro. La gamba, senza la parete.

Ho capito perché le opere arrivano a chiamarsi untitled.

Ho sentito quella piccola e lieve soddisfazione di fare una cosa buona con delle cose che da sole lo sarebbero state un po' meno e che magari avrei pure buttato.

Ho deciso di fissare le cose con lo scoc come hai fatto tu quella volta con la rosa sulla chiavetta usb perché poi magari le cose importanti si perdono e non sai più dove le hai messe.

Ho concluso che i giapponesi non li riesco tanto capire. Che nei loro cervelli le idee e gli opposti fanno tanti piccoli corto circuiti.

Ho ascoltato i Pan del diavolo che mi piacciono più di quanto mi stiano simpatici.

Non ho capito ancora perché le persone si litigano per cinque minuti il pagamento di un caffè ristretto e di un latte macchiato con poca schiuma. E tu aspetti solo due euro e ottanta.

Ho sorriso guardando i palazzi vuoti riempirsi di luce dopo questo giorno di pioggia.


Eravamo noi quelli che ci toccavamo la lingua? Ero io quella che se ne andava senza voltarsi?


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